L’era digitale che contraddistingue l’epoca moderna ha portato alla rapida diffusione dei social network (Facebook, Linkedin, Twitter, ecc.) e dei portali di recensioni (TripAdvisor, Airbnb, ecc.) in cui, come è noto, gli utenti possono manifestare un’opinione personale in merito ai servizi di cui hanno usufruito, esprimendo un giudizio che assumerà notevole rilevanza ai fini dello sviluppo dell’attività commerciale o professionale prestata.
Infatti, per un ristorante potrà essere molto importante poter vantare numerose recensioni positive per stimolare la curiosità di nuova clientela ma lo stesso varrà anche per i proprietari di appartamenti offerti in locazione tramite il portale Airbnb e pure per coloro che abbiano predisposto una propria pagina su social network (come Facebook o Linkedin) per pubblicizzare la propria attività.
Questo sistema di valutazioni delle attività commerciali o professionali, tuttavia, è stato spesso oggetto di feroci critiche da parte degli esercenti, i quali sovente hanno contestato l’autenticità delle recensioni, accusando i concorrenti (a volte a torto, a volte a ragione) di aver inventato recensioni negative con il preciso intento di danneggiare i propri rivali.
Talvolta, più semplicemente, gli esercenti hanno lamentato che i commenti critici fossero il frutto di un travisamento dei fatti da parte di alcuni utenti e che quindi, in pratica, essi fossero vittime di “immeritate” recensioni negative.
Ebbene, il presente elaborato si pone l’obiettivo innanzitutto di individuare i casi in cui siano state riconosciute responsabilità a carico del gestore del portale di recensioni per i commenti ivi pubblicati, ripercorrendo a tale scopo la giurisprudenza più significativa degli ultimi anni; in secondo luogo, si intende prospettare le potenziali strade percorribili dalla vittima di diffamazione per tutelare al meglio ed in tempi ragionevoli la propria reputazione professionale o commerciale, così evitando il perpetuarsi di commenti denigratori che rechino un pregiudizio di rilevante entità a danno del soggetto esercente.
La pronuncia dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Antitrust)
La decisione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (c.d. autorità Antitrust) del 19 dicembre 2014 sembrava aver riconosciuto in maniera incontrovertibile la responsabilità dei portali di recensioni (nel caso di specie TripAdvisor) che non avessero apprestato adeguate contromisure per evitare il diffondersi di commenti diffamatori sui portali da loro gestiti.
In particolare, su segnalazione dell’Unione Nazionale Consumatori, di Federalberghi e di alcuni consumatori, l’Autorità Antitrust aveva accertato la scorrettezza della pratica commerciale realizzata da settembre 2011 fino alla data della decisione (19 dicembre 2014) da parte di TripAdvisor LLC (società di diritto statunitense che gestisce il sito www.tripadvisor.it) e di TripAdvisor Italy S.r.l. comminando, per l’effetto, ai due operatori (in solido tra loro), una sanzione amministrativa pecuniaria pari a cinquecentomila euro.
Con tale provvedimento, tra l’altro, l’Antitrust aveva vietato la “diffusione di informazioni ingannevoli sulle fonti delle recensioni” pubblicate sulla banca dati telematica dei due operatori, ritenendoli entrambi responsabili di non avere adottato strumenti e procedure di controllo idonee a contrastare il fenomeno delle recensioni diffamatorie o comunque false.
In particolare, TripAdvisor era stata accusata di aver pubblicizzato la propria attività, enfatizzando il carattere autentico e genuino delle recensioni e così inducendo i consumatori a ritenere sempre attendibili le informazioni che fossero presenti sul sito in quanto espressione di reali esperienze turistiche.
A giudizio dell’Autorità, in definitiva, le condotte contestate dovevano reputarsi in violazione degli articoli 20, 21 e 22 del Codice del Consumo, “risultando idonee a indurre in errore una vasta platea di consumatori in ordine alla natura e alle caratteristiche principali del prodotto e ad alterarne il comportamento economico”, conseguendone da ciò la comminazione della citata sanzione pecuniaria.
La pronuncia del T.A.R. Lazio in appello
La suddetta decisione, tuttavia, veniva integralmente ribaltata in sede di appello dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, il quale in buona sostanza annullava la sanzione pecuniaria di cui sopra, adducendo che non poteva richiedersi a TripAdvisor un controllo costante di milioni di recensioni e che in ogni caso una sola recensione negativa di dubbia autenticità non avrebbe influenzato il giudizio complessivo sulla qualità dell’attività commerciale recensita.
Nel dettaglio, il T.A.R. Lazio assumeva difatti che “Non essendo possibile verificare i fatti riconducibili a milioni di recensioni, come ammesso dalla stessa AGCM, non si comprende quale nocumento per il consumatore, ai sensi degli artt. 20-22 del Codice del Consumo, abbia rilevato l’Autorità nelle sue valutazioni conclusive, in quanto quest’ultimo, sin dal primo contatto, per quanto sopra riportato, viene posto in realtà in condizione di avere un quadro informativo chiaro, completo, esaustivo e veritiero in relazione alla conformazione dello specifico servizio offerto sul sito, conformazione che l’AGCM non ha sufficientemente approfondito, in tutti i suoi risvolti e in relazione ai rapporti con i consumatori e non con gli altri professionisti quali sono i gestori delle strutture” (v. sentenza T.A.R. Lazio n. 9355/2015).
Sennonché, anche la descritta sentenza del T.A.R. Lazio è stata successivamente impugnata dinanzi al Consiglio di Stato (il quale ad oggi non si è ancora pronunciato nel merito della presente vicenda) e pertanto la presente questione pare tutt’altro che risolta.
La giurisprudenza di merito e di legittimità
Chiarito che allo stato attuale, in base alla pronuncia del T.A.R. Lazio succitata, sembra non potersi configurare una responsabilità generalizzata dei portali di recensioni per i commenti diffamatori ivi pubblicati, è opportuno soffermarsi sulle posizioni assunte dalla giurisprudenza di merito e di legittimità in relazione ai singoli casi concreti.
1) A tal proposito, si veda innanzitutto la sentenza n. 46 del 2016 del Tribunale di Grosseto, la quale ha negato fermamente ogni responsabilità del gestore del sito, stabilendo che un servizio come Tripadvisor debba essere considerato un “hosting provider” e in quanto tale non debba rispondere degli illeciti commessi dai propri utenti.
Sottolinea la predetta pronuncia, infatti, che “l’hosting provider, a differenza di quanto avviene per il content provider (che fornisce agli utenti contenuti che vengono pubblicati sotto la responsabilità editoriale dello stesso titolare/gestore del sito, come avviene ad esempio per le testate giornalistiche), si pone in posizione neutra rispetto al contenuto delle informazioni inserite dagli utenti, né tale neutralità viene meno per il fatto che la società convenuta, ove informata del potenziale contenuto illecito di alcuni dei contenuti riversati nello spazio offerto agli utenti, con modalità qualificate, possa attivarsi per disporne la cancellazione, atteso che tale attività è di carattere demolitivo e non costruttivo ed esclude un obbligo di controllo preventivo e/o successivo autonomo”.
Il legislatore, in pratica, avrebbe inteso valorizzare al massimo livello il principio della libertà di espressione e di informazione nella rete Internet, ritenendo che se si imponesse un sistema di controllo e di filtraggio preventivo nei servizi di hosting provider ne verrebbe pregiudicato il ruolo di Internet quale libero spazio di comunicazione e d’informazione per i terzi fruitori.
La pronuncia in esame si spinge oltre, asserendo innanzitutto che TripAdvisor non può controllare le recensioni di milioni di utenti e in secondo luogo che in ogni caso non sussisterebbe alcun obbligo giuridico di eliminare la recensione contestata a seguito di eventuali segnalazioni di illiceità da parte del soggetto recensito, purché non vi sia un provvedimento dell’autorità giudiziaria che ne disponga la cancellazione.
Nel dettaglio, il giudizio in questione era stato sollevato da un albergo della zona del grossetano, il quale aveva citato TripAdvisor a causa della pubblicazione di una recensione negativa reputata dall’esercente falsa e diffamatoria, ritenendolo corresponsabile della diffamazione per non aver provveduto a rimuovere la recensione con sufficiente tempestività e senza neppure acconsentire a consegnare i dati del recensore.
Come sopra rilevato, il Tribunale di Grosseto non ha accolto tale tesi ed ha respinto le richieste dell’esercente ma occorre sottolineare -ad onor del vero- che contrariamente a quanto asserito dalla struttura alberghiera TripAdvisor aveva eliminato la recensione negativa con estrema solerzia, vale a dire dopo appena due giorni dalla segnalazione di illiceità della recensione.
2) Di tutt’altro tenore, è invece l’ordinanza del Tribunale civile di Venezia del 24.02.2015, con la quale si accoglieva l’istanza cautelare di urgenza ex art. 700 c.p.c. presentata dai titolari di un celebre ristorante veneziano, ordinandosi in particolare a Tripadvisor di provvedere ad eliminare una recensione negativa reputata diffamatoria ed offensiva nei confronti dell’esercente.
Nello specifico, la recensione contestata, in merito ai servizi offerti dal ristorante, recitava testualmente: “Sporchi, cari e maleducati […] solo se i camerieri vi conoscono e sanno che riceveranno una buona mancia allora eviteranno di lasciare i vostri piatti a freddarsi sulla mensola della cucina […] Ho trovato persino uno scarafaggio nella pasta […] è la faccia più brutta che Venezia possa offrire…”.
Ebbene, ripercorrendo i fatti sin dall’origine, si osservi che il ristorante aveva contestato sin da subito (tramite il proprio legale) il tenore denigratorio della predetta recensione ed in verità TripAdvisor aveva prontamente provveduto ad eliminarla.
Poco tempo dopo, però, la recensione negativa era riapparsa sul sito e pertanto il ristorante si era persuaso ad agire in giudizio contro il portale delle recensioni (in via cautelare d’urgenza ex art. 700 c.p.c.) al fine di ottenere la definitiva cancellazione della recensione contestata.
Il Tribunale Civile di Venezia, a questo punto, aveva ritenuto di accogliere le istanze dei ristoratori, adducendo che effettivamente la recensione contestata non fosse autentica alla luce di una serie di ragioni.
In primo luogo, infatti, tale recensione risultava contraddittoria laddove si affermava che “[…] solo se i camerieri vi conoscono e sanno che riceveranno una buona mancia allora eviteranno di lasciare i vostri piatti a freddarsi sulla mensola di cucina […]”, in quanto soltanto chi frequenta abitualmente il ristorante può ragionevolmente reputare che i camerieri riservino un trattamento privilegiato ai loro amici e conoscenti, per cui in quest’ultimo caso appare quantomeno bizzarro che il frequentatore abituale di un locale poi pubblichi una recensione dello stesso tanto negativa.
Un secondo elemento anomalo rilevato dal Tribunale di Venezia si ravvisa inoltre nel fatto che in seguito alla prima cancellazione operata da TripAdvisor la recensione era riapparsa sul sito con le stesse identiche parole utilizzate in precedenza (comprensive tra l’altro degli stessi errori di battitura) e pertanto in questo secondo aspetto il Tribunale aveva dedotto una verosimile professionalità da parte dell’autore del commento nel pubblicare i commenti negativi sui portali di recensioni. Risultava anomalo, infatti, che un avventore deluso dalla sua esperienza con un dato ristorante si fosse preso la briga di pubblicare nuovamente il commento una volta cancellato (per giunta con le stesse identiche parole e con gli stessi identici errori di battitura), come se in realtà il commento negativo fosse il frutto di un “copia e incolla” di un file, già predisposto in precedenza, con il solo scopo di diffamare il locale recensito.
Tutto ciò, in definitiva, aveva indotto il Tribunale di Venezia ad ordinare l’immediata cancellazione della recensione.
3) Un importante arresto giurisprudenziale che sembrava avere aperto nuove prospettive sul tema affrontato si è avuto poi con la sentenza della Corte di Cassazione penale n. 54946/16.
Il caso della sentenza in commento, infatti, non riguardava questa volta TripAdvisor bensì il gestore di un sito sportivo e concerneva un commento diffamatorio pubblicato da un utente su una community il quale definiva l’ex presidente della Federazione Italiana Gioco Calcio (Carlo Tavecchio) come un “emerito farabutto” e “pregiudicato doc”, allegando al commento anche il relativo certificato penale del soggetto diffamato.
Dopodiché, nei giorni successivi alla pubblicazione del messaggio, sulle pagine della Community appariva un messaggio del gestore del sito, il quale aveva scritto e pubblicato un articolo che richiamava il precedente commento, difendendolo pubblicamente e reputandolo non diffamatorio nei confronti dell’ex Presidente della FIGC.
La Corte di Cassazione – a conferma dell’impugnata sentenza della Corte d’Appello che si era già pronunciata negli stessi termini – rilevava invece che la conoscenza da parte del gestore del sito dell’esistenza del messaggio pubblicato dall’utente della community, nonché la sua scelta consapevole di lasciarlo online, avevano costituito un presupposto sufficiente per l’accertamento della responsabilità del gestore del sito, resosi corresponsabile con l’autore del commento (ai sensi dell’art. 110 c.p.) del reato di diffamazione aggravata.
Quindi, va chiarito che la Corte di Cassazione non afferma mai che il gestore del sito internet aveva l’obbligo giuridico di eliminare i contenuti diffamatori a pena di corresponsabilità nel reato ex art. 40 c.p. (in base al quale “non impedire un evento, che si ha l’obbligo di impedire, equivale a cagionarlo”), né che debba effettuarsi un’equiparazione tra web e stampa, così rendendo ipotizzabile una responsabilità del gestore del sito internet ai sensi dell’art. 57 c.p. (responsabilità per omesso controllo del direttore responsabile).
Più semplicemente, invece, la Corte di Cassazione rileva un’ipotesi di responsabilità in concorso di persone, la quale trova il suo fondamento nella consapevolezza del gestore del sito di mantenere on-line il commento diffamatorio, avendone preso apertamente le difese e avendo così rafforzato l’intento criminoso dell’autore del commento.
Alla luce di quanto sopra, la Corte di Cassazione confermava in toto la sentenza impugnata la quale, oltre a condannare il titolare del sito per il reato di diffamazione in concorso con l’autore del commento, lo aveva altresì condannato al risarcimento dei danni (liquidati nella misura di € 60.000,00), pur tuttavia senza enunciare alcun principio di diritto che imputi sempre e comunque a carico del gestore del sito o del portale di recensioni la responsabilità dei commenti diffamatori ivi pubblicati.
COME TUTELARSI DAI COMMENTI DIFFAMATORI
E’ il caso infine di soffermarsi su come l’esercente possa tutelarsi da eventuali recensioni false o comunque diffamatorie, chiarendo che si tratta soltanto di suggerimenti a titolo generico che in alcun modo possono sostituire il parere di un professionista qualificato.
Ciò premesso, si ritiene che innanzitutto il cliente dovrà inviare una formale contestazione al gestore del sito (possibilmente tramite il proprio legale), riportando analiticamente il commento in questione, indicando la data e l’ora di pubblicazione, i dati dell’autore (il suo nickname, quando si è iscritto al sito, ecc.) e ogni altra informazione utile, ed assegnando infine al gestore del sito un termine ragionevole entro cui provvedere a rimuovere la recensione.
La tutela in sede penale
Dopodiché, in seguito alla mancata risposta nel termine assegnato dal ricevimento della missiva, ovvero in caso di riscontro negativo, l’esercente potrà sporgere querela nei confronti di ignoti (se non si conosce l’identità dell’autore del commento), indicando i possibili soggetti informati dai fatti che potrebbero essere chiamati a testimoniare in un momento successivo, ovvero ogni altra informazione utile nel caso concreto. Così, ad esempio, nel caso in cui la diffamazione abbia ad oggetto fatti mai avvenuti o che non sarebbero mai potuti avvenire per circostanze oggettive (è il caso di una recensione negativa relativa ad un piatto che non aveva mai fatto parte del menu del ristorante), è opportuno indicare sin da subito i nominativi dei camerieri, degli avventori, ovvero di chiunque altro possa confermare il carattere menzognero della recensione che poi potranno essere sentiti dalle pubbliche Autorità.
Alla luce della giurisprudenza sopra citata, inoltre, la responsabilità di carattere penale del titolare del sito (in concorso con l’autore del commento), parrebbe sussistere nel solo caso in cui quest’ultimo si esponga apertamente in difesa del soggetto autore della diffamazione (ad es. nel caso affrontato dalla citata Cassazione Penale mediante un articolo pubblicato sul sito che faceva proprio il commento diffamatorio) così rafforzando il suo proposito criminoso nonché il carattere lesivo della diffamazione.
In sede penale, tra l’altro, sarà possibile chiedere altresì il sequestro preventivo del sito qualora il suo titolare si rifiuti di eliminare spontaneamente il commento oggetto di contestazione.
La tutela in sede civile
Per quanto concerne la tutela civilistica, invece, occorre distinguere i casi in cui il gestore del sito abbia (o meno) cancellato la recensione negativa o il commento denigratorio a seguito della segnalazione del soggetto diffamato.
Infatti, qualora ciò non sia avvenuto, la strategia che pare preferibile (adottata anche nel caso sopra citato deciso dal Tribunale di Venezia) consiste nell’attivare un procedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. che si caratterizza per la sua celerità rispetto ai tempi dell’ordinario giudizio di merito.
Laddove, invece, il commento diffamatorio sia stato cancellato ma si voglia comunque convenire in giudizio il titolare del sito al fine di chiedere il risarcimento dei danni, non resta che adire la lunga strada del giudizio ordinario.
A quest’ultimo proposito, risulterà fondamentale la pronuncia del Consiglio di Stato in ordine alla responsabilità generalizzata del gestore del sito (nel caso di specie TripAdvisor) in quanto -in caso di riconoscimento della suddetta responsabilità da parte dell’autorità giudiziaria- potrebbero aprirsi interessanti scenari risarcitori a carico dei portali delle recensioni e dei titolari dei siti.
Si riporta di seguito uno schema riepilogativo delle principali pronunce giurisprudenziali intervenute sul tema affrontato: